Ci
sono due strade che da Dushambe portano a Khorogh.
C'è
la strada che si snoda a nord e attraversa un passo a 3.000m,
dislocata su dei tornanti che salendo lentamente vanno a morire a
ridosso di piccoli villaggi, trasformando l'asfalto in cumuli di
rocce ghiaiose, simili a quelle del letto di un fiume, dove a volte
la stessa strada si fa talmente stretta e tortuosa da permettere il
passaggio solamente a dorso di un asino, che tra l'altro è l'unico
mezzo che gli abitati utilizzano per spostarsi tra un villaggio e
l'altro. Se si decide di proseguire per questa strada si deve tener conto che qua il tempo sembra essersi fermato al primo dopoguerra: non
c'è luce, non c'è gas, c'è solamente l'acqua potabile che sgorga
dai torrenti che dalla cima del passo a valle rendono
l'area ricca di coltivazioni stagionali; gli abitanti dei piccoli
villaggi trascorrono le giornate lavorando i campi e pascolando il
bestiame, nessuno si aspetterebbe mai che possano essere minimamente in contatto con il mondo fuori da quelle montagne, e infatti è così che si ritrovano a parlare un idioma tra il russo e il persiano che ha avuto modo di definire ancor di più questo gap temporale con il resto del mondo. E' la strada che ho scelto di percorrere, una scelta che
poco è stata pensata, ma che come le cose poco studiate ha portato
con se enormi soddisfazioni, bellissimi ricordi, ed esperienze costruttive.
Sempre la meravigliosa cartina disegnata a mano per voi per semplificare e capire meglio la geografia
Poi
c'è la strada che passa da sud, che non si può definire
propriamente asfaltata, ma che comunque rimane percorribile dalle
jeep che fungono da mezzo di trasporto per chiunque abbia bisogno di
raggiungere la capitale o spostarsi verso le montagne dell'est. Qua, anche se non si può propriamente parlare di cittadine, ma più di centri abitati, abbiamo una rete stradale che comunque li porta verso l'esterno e fa in modo che non rimangano del tutto isolati.
Le
jeep che passano a sud, attraversano la Pamir da Dushambe a Chorogh impiegando un tempo medio di 15 ore per effettuare 500km di strada,
in relazione a questo è possibile interpretare il significato di
asfalto e quanto relativo possa essere l'aggettivo buono in
riferimento alla condizione del manto, ma rimane comunque l'unica
opzione per percorrere in macchina un tratto di strada che a nord
sarebbe impossibile attraversare.
E'
proprio alla fine di queste 15 ore di strada che stremati e confusi
arrivano i miei nuovi compagni di avventura.
Capisco
immediatamente che il loro viaggio in auto è stato dettato più da
una necessità che da una scelta. Ogni speranza di un confine
riaperto è infatti svanita nel momento in cui mi comunicano che non
gli è stato concesso l'agognato permesso per attraversare la regione
autonoma, o meglio gli è stato concesso temporaneamente per una
settimana, tempo insufficiente a percorrere l'intero tragitto in bici
e rientrare senza avere problemi con le autorità locali. Se per un
attimo l'adrenalina era tornata in circolo e in un nano secondo avevo
pensato alla possibilità di rimettermi in viaggio a completamento
del progetto iniziale, altrettanto velocemente questa possibilità si
è spenta una volta capito che 15 ore di macchina non si fanno per
scelta, ma per necessità, quella di non sprecare la possibilità di
vedere seppure in maniera differente da come la si era pensata quei posti che non sono di
passaggio e che rimangono nascosti al turismo dei più.
Nonostante questo, non c'è voluto molto a convincermi che forse il Tajikistan poteva ancora
offrimi un'ultima esperienza, in fondo era ancora presto per chiudere
il cerchio e tornare alla capitale.
Quella
sera stessa a cena, si parla di una possibile escursione nella Valle del Bartang, poco distante da noi, così decido di unirmi ai miei nuovi amici, che la mattina seguente avrebbero caricato le bici per avventurarsi in un
trail di qualche giorno.
Che
cosa è il Bartang?
Il
Bartang è una valle che attraversa la regione nord est del
Tajikistan, è attraversata da un sentiero che collega l'area di
Khorogh con la regione di Karakul, praticamente è la strada che si
biforca dalla Pamir e passa attraverso le montagne che vanno a morire
nell'altopiano.
Il
Bartang è una vallata talmente remota ed isolata che talvolta la
strada si sgretola alla merce degli agenti atmosferici. Ogni forma di
spazio antropizzato si perde alla fine di 50km di strada che si
collegano alla principale e che fiancheggiano un fiume.
Pochissime parole e mi ritrovo già intenta a rifare i bagagli per il giorno seguente, in fondo nulla è mai concluso fin quando non ci si ritrova seduti sull'aereo di ritorno.
Non nascondo che io non sono propriamente la compagna di viaggio ideale, e l'idea di dover passare tre giorni in compagnia di altre due persone sconosciute, se inizialmente mi aveva esaltata e caricata di nuova energia, la mattina della partenza avevo già smorzato l'entusiasmo con la paura di non trovarmi a mio agio in una determinata situazione. Ma in fondo tre giorni su cinque settimane di viaggio non sono un'enormità, e in qualche modo mi adatto sempre.
Peccato che alla fine devo dar ragione alla mia natura di orso solitario.
Percepisco immediatamente che il testosterone nell'aria ha dei livelli esagerati e che quella che per me era una gita fuori porta si trasforma subito in una gara fuori pista. Cerco inutilmente di smorzare i toni, dal momento che sento parlare di km/h, tempi, pause programmate al minimo dettaglio, garmin che segnano e scandiscono la giornata; ovviamente con scarsi risultati, e trovandomi in netta minoranza decido allora di star zitta e far decidere al caso il destino di questo incontro.
Ci sono milioni di motivi per cui parto in solitaria, uno tra i tanti è di poter decidere per me quello che voglio, senza togliere a nessun altro la possibilità di fare la propria esperienza per come la si è pensata, e siccome alla fine di tutto non provo mai a far brillare le mie volontà, finisce sempre che faccio ciò che gli altri decidono per me, e poi ci rimango male. Ma ciò che più non tollero al mondo è la presunzione e il grado di approccio ad una cultura diversa dalla mia talmente tanto superiore da risultare maleducato, ma non voglio concentrare il racconto su quanto quello che è successo mi abbia messa in imbarazzo.
Poche chiacchiere e ritmo serrato arriviamo al bivio che poi si addentra nella valle. Oramai col sole quasi al tramonto, e stanchi dall'aver macinato più di 100km, decidiamo che è il caso di cominciare a cercare un posto per la notte. Arrivati all'ultimo centro abitato prima di passare sull'altra sponda del fiume e non trovare più nulla ci fermiamo a cercare quella che una vecchia guida della Lonley Planet, posseduta dai due, indicava come una guesthouse. Certo, la guida era datata, ma nessuno si sarebbe aspettato che la gente del posto potesse lucrare non poco sul nostro bisogno di un posto dove dormire e mangiare. Veniamo accolti festosamente e fastosamente come tre polletti da spennare all'interno dell'abitazione da quella che sembrava la padrona di casa, una signora di mezza età, molto affabile, dai modi imprenditoriali, che agitava un intruglio di zuppa che cuoceva su una vecchia stufa a legna. Ci vengono chiesti 20 euro a testa per una cena e un materasso a terra. Trattandosi dell'unica abitazione segnalata sulla guida la signora aveva fatto i suoi conti, ma io avevo fatto anche i miei, e sinceramente ero disposta a pagare, ma per un prezzo onesto, che non superasse i 5 euro a testa, comunque un'enormità per i loro affari. Agito subito la testa e faccio cenno ai due, che sembravano ben disposti a pagare, di non accettare, perchè va bene tutto, ma farsi derubare anche no.
Siamo stati evidentemente presi contro piede: il sole al tramonto, l'ultimo villaggio prima del nulla, nessun negozio disponibile, unica casa che si prestava a guesthouse in vena di affari. Avanzo per cercare di contrattare un prezzo più onesto per l'ospitalità, ma vengo subito scavalcata da uno dei due, che dopo essersi vantato delle sue esperienze in lungo e in largo per il mondo, mi chiede di farmi di lato perchè ci avrebbe pensato Lui. Sorrido, perchè so già che sarà una battaglia persa, ma decido di farlo provare, tanto avevo già in mente il piano B. La signora agita la testa e in modo secco e deciso risponde con un bel niet. Prendo per il braccio il mio amico e gli chiedo di non insistere, perchè sarebbe stato solamente tempo perso ed energie sprecate, gli chiedo invece di non disperare e di fidarsi e far fare a me la prossima mossa.
Introduco quindi la mia tecnica assodata di approccio all'ospitalità: chiedo ai miei compagni di sederci per terra sullo spiazzo principale del villaggio, proprio quello dove poco prima eravamo stati assaltati da un'orda impazzita di bambini, e aspettare non più di cinque minuti. La mia proposta non viene accettata volentieri, per cui chiedo ai due di farsi un giro e continuare a cercare, che alla fine distribuendo le energie prima o poi qualcuno ci avrebbe accolti.
Devo dire che la mia tecnica è ormai talmente tanto strutturata nel tempo da essere diventata infallibile. Non credo fossero passati nemmeno pochi secondi, quando si avvicina un signore, cerco di comunicare in una lingua dei segni piuttosto sgrammaticata, ma efficace, e mi fa cenno di aspettare un attimo. Vedo già i due amici che incuriositi da quello a cui avevano assistito decidono che forse la mia idea non era poi tanto malvagia e quindi si avvicinano. Pochi minuti dopo, mentre ormai divenuti attrazione principale del villaggio ci prestavamo alla goffa comunicazione a gesti, lingua ufficiale del viaggio, arriva il signore al quale avevo chiesto poco prima ospitalità accompagnato da un'altra signora. Faccio segno ai miei amici di non interferire nella comunicazione al fine di non far percepire l'alone di disperazione che trasudava dai nostri gesti ed offro alla signora 15 euro totale in cambio di una cena e un materasso a terra dove dormire la notte. Alla vista dei soldi tagiki il linguaggio corporale della signora induce a sperare in un determinato si certo, ma purtroppo lei non ha sufficiente spazio per ospitare tre puzzolenti individui in casa sua, per cui ci chiede di attendere un secondo perchè avrebbe di certo trovato chi poteva farlo al suo posto. Mi chiede espressamente di non seguirla, ed io ferma non faccio altro che guidarla idealmente col pensiero e sperare che arrivino buone nuove, anche perchè quella era l'ultima possibilità per poter mangiare qualcosa in quella giornata.
In questa foto rubata, l'attimo in cui la cara signora spiega alle donne del villaggio la nostra problematica, facendo riferimento al fatto che avremmo offerto un'indenne somma di denaro a riscatto degli avanzi del giorno e una stanza al chiuso. Uno sfuggente sguardo alle nostre gambe stanche e zozze e subito viene chiamata una giovane ragazza che con un sorriso e tanta voglia di comunicare ci fa cenno di seguirla verso casa.
Una specifica dovuta: non mi è mai capitato di dover pagare per essere ospitata e sono sicura che con un altro approccio e molta più empatia avremmo ottenuto lo stesso trattamento senza dover fare ricorso ai beni materiali. Poi la decisione di lasciare un piccolo contributo economico a chi ha aperto la sua casa e condiviso il suo cibo è sempre più che giusta, ma è più naturale, passa in secondo piano e non inquina il tipo di relazione che si viene a creare, anche solo per una sera. Ma per questa volta me la sono dovuta far andare bene così. Nella prossima e ultima parte di questa parentesi vorrei invece parlare di chi ci ha aperto casa dall'altra parte del fiume Bartang e di come siamo miracolosamente tornati a Dushambe contrattando un taxi condiviso, unico mezzo che utilizzano i locali, che in totale aveva 6 posti a sedere, con altre 8 persone, per un totale di 11 persone e 15 ore di macchina, ma si sopravvive a tutto, anche a questo