lunedì 12 dicembre 2022

Una parentesi nel viaggio (prima parte): il rientro a Khorogh

La fine di questo viaggio, durato più di un mese nel centro dell'Asia, vuole essere l'epiteto perfetto e un'ode al mantra che da sempre mi accompagna durante questi raid ciclistici che fungono da terapia psicologica annuale.

Vorrei partire dalla fine e proseguendo a ritroso, o a salti temporali, ripercorrendo le tappe fondamentali che come sempre hanno permesso di adattarmi, più nel pensiero che nel corpo, a questa regione, che è stata centro di interesse sovietico e che tutt'oggi vive tra tensioni interne ed esterne una precaria situazione di stabilità politica, rendendola affascinante, multi culturale, dal carattere bruto ma dall'animo sensibile e vissuto di chi da sempre ha dovuto fare i conti con un ritmo storico dal sapore amaro.

Avendo il quadro della situazione sotto mano mi è più semplice adesso sviluppare un resoconto di quanto mi sono portata a casa, e scelgo quindi di raccontare la fine come naturale processo di un adattamento caratteriale alle montagne, ai deserti racchiusi in quelle montagne dell'altopiano asiatico e alla gente che vive questi spazi, immersa in un'atmosfera che conserva i sapori antichi di una civiltà rimasta all'abbandono della caduta dell'ex unione sovietica.


Anche se tornerò in seguito a parlare di come si è sviluppato il viaggio lungo la Pamir, mi sembra doveroso al fine di capire gli eventi, fare un piccolo sunto di come siamo arrivati a questo esatto momento, il momento in cui il viaggio finisce, e mi ritrovo ad accettare l'invito di una piccola escursione nei dintorni di Khorogh. 

Infatti appena finito il percorso che da Dushambe, capitale del Tajikistan, mi ha portata a Karakull, 30km dal confine Kyrgyso, dove una frontiera chiusa ha interrotto l'iniziale intento di concludere ad Osh, sono stata costretta a ripercorrere 500km a ritroso, obbligati sulla stessa strada, fino a raggiungere nuovamente Khorogh, la capitale della regione autonoma e pressappoco centro della Pamir Highway che da Dushambe porta ad Osh.

In questa meravigliosa ed efficace cartina semplificata con l'evidenziatore si mostra la strada di cui sto parlando






Chi è abituato alle passeggiate in montagna lo sa, la strada a ritroso non è mai la stessa; intanto cambiano i punti di riferimento cardinali, sconvolgendo il nord col sud e viceversa si ripercorrono delle strade che assumono tutt'altro sapore a seconda dell'intensità luminosa che li investe, e allora quelle cornici montuose assumono forme nuove e colori differenti; i prati dove si è trovato riparo qualche notte prima possono assumere una nuova struttura in base alle condizioni atmosferiche, e ciò che magari sembrava sicuro adesso viene visto con la consapevolezza di ciò che si è attraversato e può confermare o meno la sensazione di comfort che si è provato a dormire in tenda; ma tra le molteplici differenze che si possono trovare ripercorrendo una strada a ritroso ce n'è una che si avverte più forte delle altre, ed è la conoscenza della struttura stradale, e quindi dei rilievi del terreno, per poter dosare gli sforzi in base alle salite e le discese, la condizione del manto stradale, per cui le pause saranno dettate dalla consapevolezza che alcune difficoltà dipenderanno maggiormente da come le ruote si adattano al terreno, ma anche le persone che abbiamo incontrato lungo la via, che abbiamo salutato come se non dovessimo più incontrarle e che poi torniamo a trovare come fossero amici ormai assodati.


E allora dopo aver ripercorso la strada che dal lago di Karakul porta a Khorogh, ho deciso di tornare a dormire nell'ostello che mi aveva ospitato una decina di giorni prima.

Avete presente quella sensazione di endorfine, mista adrenalina, che viene chimicamente innescata dal nostro organismo dopo uno sforzo fisico? Ecco, alla fine di un viaggio, nel momento esatto in cui percorro gli ultimi metri, tutto questo fa si che nulla al mondo in quel momento possa farmi cambiare idea sull'aver concluso il viaggio, inesorabilmente e senza alcuna ombra di dubbio oramai finito e per nessun motivo intraprendibile nuovamente.

Infatti ciò che è stato dopo Khorogh (al rientro da Karakul), verrà definito come una piccola parentesi a conclusione di una bellissima esperienza.


La struttura che ospita il piccolo ostello alla periferia di Khorogh, non è nient'altro che un bungalow, proseguo dell'abitazione di una famiglia locale. Di posti dove dormire a Khorogh ce ne sono abbastanza e anche di molto economici, essendo il centro della Pamir, lungo la strada principale che è poi l'unica strada asfaltata della città, attorno alla quale si sviluppa il centro abitato, si trovano diversi motel destinazione dei camionisti che attraversano queste montagne. Ma la decisione di prendere posto in questo preciso ostello era stata dettata dal fatto che si trovava fuori dalla città, sul cucuzzolo di un promontorio, all'interno di una struttura in legno, in un posto quasi fuori dal tempo, e trovato tramite una ricerca su un sito di viaggiatori che lo consigliavano come punto di incontro per la gente zaino in spalla, ultimo ma non per ultimo in una via che di nome fa Gagarin J., nome per altro al quale sono molto affezionata.







Ed effettivamente dopo qualche ora dal mio arrivo, me ne stavo sdraiata sulla struttura al centro del cortile, che funge da divano e tavolo da pranzo, a ripensare a tutto quanto vissuto dall'inizio, cercando di non accavallare i pensieri e di fare mente locale su come raggiungere il Kyrgystan al quale dovevo comunque arrivare per prendere il volo di rientro in Italia, nonostante i confini chiusi, quando vengo sorpresa dall'arrivo di due tipi che scendono da un'auto scaricando delle bici gravel con relative borse da viaggio.

Rimango sorpresa da come alla fine di tutto vado ad incontrare due simili, e ancora prima di presentarmi, mentre rimango fissa a guardare le procedure di scarico dell'attrezzatura, si insinua dentro di me il pensiero e la speranza che forse hanno riaperto il confine, che forse adesso il GBOA è nuovamente protocollabile, che da questo momento in poi il traffico e le frontiere saranno aperte a tutti e che quindi il destino mi ha giocato questo brutto scherzo, che se solo avessi deciso di partire qualche settimana dopo adesso avrei potuto attraversare quel fossato e concludere per come avevo impostato il tutto, e forse ancora non era troppo tardi per farlo e sarei ripartita immediatamente.

Rimango ancor più sorpresa quando uno di loro due da lontano mi saluta con un preciso gesto della mano e mi dice “Ciao”.

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"In natura un contorno non esiste, dunque la forma disegnata dall'artista non è un elemento realistico, ma una sorta di spettro"

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