giovedì 6 settembre 2018

Scappo di casa e mi perdo in Kashmir - Capitolo I - L'adolescenza

Non era mai stato bravo con gli addii
Quando te ne vai, te ne vai
Aveva sempre pensato
Raramente è giusto dirsi addio
O è troppo informale e fa soffrire gli altri
O sei tu stesso a soffrire
Se esageri ed è troppo sentito, il tono non è giusto, e quando parti il vuoto dentro diventa troppo grande

Tratto da Untitled (viaggio senza fine)

Nel mio ultimo passaggio da Messina a Roma, qualche giorno fa, mi sono ritrovata a parlare con un militare paracadutista. Di tutte le domande che potevo fargli in merito alla sua professione, una tra tutte premeva per uscir fuori; volevo sapere quale la sensazione che si prova il giorno prima di buttarsi nel vuoto.
Marco ride e mi chiede la motivazione, solitamente tutti chiedono cosa si prova a buttarsi nel vuoto, a nessuno interessa capire cosa si prova negli attimi precedenti a quel gesto.

Ad ogni modo la sua risposta è stata proprio quella che immaginavo di sentire.

E' difficile da spiegare la sensazione di distacco dal mondo terreno che si prova nei giorni precedenti ad un lancio; una volta in aria, coi piedi puntati nel vuoto, tutto diventa più semplice, la mente, che nei giorni prima ha attivato dei meccanismi di autodifesa, nel momento in cui si trova a compiere il gesto si carica di adrenalina, rilasciando sostanze nel corpo che permettono di azzerare la paura e diventare più sensibili ai suoni, alla luce, all'aria, a tutto quello che ci circonda, a volte anche a quello che di norma risulta invisibile.
Ma i giorni prima del lancio, in quei giorni, è ben presente la consapevolezza che tutto potrebbe compiersi nel giro di poche ore e che oltre quella data fissata per il lancio, potrebbe esserci il nulla.
Anche dopo anni, sebbene questa sensazione si sia attenuata, quindi si faccia viva oramai solo una volta salito sul bus che lo porterà in aeroporto, in qualche modo permea, in maniera sottile e puntuale, provocando una fitta allo stomaco, ecco, quella è la sensazione di essere vivi.

Mi chiede ancora il perchè di questa mia curiosità, ed io che quando parlo con estranei, non racconto mai dei miei viaggi, gli dico solamente che è una sensazione molto familiare, sebbene i miei lanci nel vuoto non abbiamo nulla a che fare con il suo lavoro.

Ritornando a quel famoso addio, mi rendo conto che per me non è mai rivolto a nessuno in particolare. Poche volte nella vita ho detto addio a delle persone, e quelle volte che l'ho fatto era perchè sapevo che realmente non ci sarebbe stata possibilità in futuro di venirsi nuovamente incontro. Ma i miei addii sono rivolti principalmente a me stessa, con la consapevolezza che una parte di me muore ogni viaggio per lasciare spazio ad una nuova persona e che quella vecchia non tornerà più.
Col tempo, ma non dico che è stato semplice, ho imparato a non soffrirne più e a rendermi conto che la fatalità è l'unico destino che riesco a cercare al di fuori degli impegni quotidiani, per cui una personalità che si ritrova scissa in due ambiti non può far altro che mettere da parte quello che si è nel quotidiano per dar spazio e luce a quell'altro aspetto, alla paracadutista, a quella che ha bisogno di lanciarsi nel vuoto per provare la sensazione di essere vivi abbastanza da temere la fine di ogni futura possibilità.

Così quest'anno, dopo svariati tentativi, è stato l'anno del lancio nel vuoto.

In realtà non sarei dovuta partire, ma quella vocina dentro, quella che da qualche anno stava in disparte, un pò soffocata, ha cominciato a strillare forte fino a non farmi dormire la notte.
Ho comprato un volo, senza nemmeno sapere in che punto preciso atterrassi, solo considerando che era probabilmente abbastanza vicino ai posti che avrei voluto esplorare.
Ho comprato un volo e l'ho tenuto dentro un cassetto fino a qualche giorno prima della partenza, perchè questa volta, a differenza di tutte le altre, la fitta allo stomaco non è partita qualche giorno prima del lancio, ma nell'attimo in cui sono salita in quel bus per l'aeroporto.
Totalmente impreparata, totalmente inaffidabile, totalmente fuori dagli schemi che ho sempre seguito in precedenza e che in qualche modo mi rassicuravano; avevo bisogno per una volta nella vita di lanciarmi in quel vuoto senza pensare troppo alle conseguenze.

Arrivo a Delhi e in qualche modo capisco già che comincio a vedere le cose in maniera diversa dal solito. Non vengo abbagliata da quella povertà disarmante che tutti descrivono di ritorno dall'India, quella l'ho vita già in altre parti del mondo, capisco che è la quotidianità di quei luoghi, capisco anche che non posso rilegarlo solamente a quegli attimi in cui io posso vedere e che quando mi girerò dall'altra parte tutto questo mondo in qualche modo continuerà ad esistere, a prescindere dal mio futuro; non lo descrivono i miei gesti di donna bianca europea, quella è una realtà, la loro e probabilmente non ne conoscono una diversa, per cui potrebbero anche idealizzare la mia in maniera differente dal reale, proprio perchè si trova in un contesto dove di norma io non dovrei essere.
A Delhi mi trovo solamente di passaggio, è uno scalo, e lo prendo come tale, mi trovo in dovere di ammettere che forse sarebbe il caso di pensare a come comportarsi nei giorni successivi, ma non mi va di pensare e non mi sforzo nemmeno, cerco solo di godermi l'attimo in cui fisicamente mi trovo in quelle strade, senza farmi coinvolgere troppo, perchè non ammetto ancora che il mio viaggio in qualche modo era partito da li.

Che il viaggio fosse già partito lo capisco solamente l'indomani all'aeroporto, quando mi viene cancellato il volo Delhi - Kullu, 500km a nord della mia posizione.
Nel momento in cui l'impiegata della compagnia mi chiede se ho intenzione di provare a prendere il volo nei giorni successivi, con la premessa che sarei potuta rimanere bloccata a Delhi anche tre giorni a causa del maltempo, non ci penso un attimo e chiedo un rimborso. In quel momento non potevo rendermi conto che stavo per azionare una catena di eventi che mi avrebbero portata alla fine del viaggio ad essere sequestrata dai militari per sospetto atto di terrorismo.

Viaggiando da soli è più che normale che le cose accadono, non è una certezza scientifica, però le cose succedono così senza un particolare motivo e col tempo mi sono abituata all'idea che una soluzione, anche se scomoda, c'è sempre, per cui bisogna essere flessibili e lasciare che le opzioni della vita si affaccino in modo fortuito, senza negarsi troppo al caso.

Ancora di fronte al banco della reception, con una ricevuta di rimborso in mano, mentre goffamente tentavo di tenere in equilibrio lo scatolone della bici ancora imballato, pensando già ad un modo alternativo di raggiungere Kullu il più in fretta possibile, noto che il ragazzo di fianco a me mi guarda incuriosito.
Non ci penso un attimo, vedo che anche lui stringe in mano una ricevuta di rimborso, lo guardo e gli chiedo se ha intenzione di andare ancora a Kullu.
Mezz'ora dopo ci trovavamo io, questo ragazzo australiano e un altro curioso tipo francese, in un garage vicino l'aeroporto a chiedere per una macchina in affitto.


Sono almeno 10 anni che mio padre insiste sul fatto che devo prendere una patente perchè prima o poi mi tornerà utile, e io sono altrettanti anni che gli dico che in qualche modo anche senza patente secondo me una soluzione riesco a trovarla.



Appena 16 ore dopo, si, perchè ci sono volute 4 ore solamente per uscire da Delhi e altre 12 per fare 500km di autostrada, perchè in realtà autostrada non è, mi trovavo in un ostello a Kullu, alle 4 del mattino, finalmente su un letto, giusto il tempo di chiudere gli occhi un paio di ore, prima di spacchettare la bici, montarla, aggiustare il carico e partire, non si sa bene per dove, ma finalmente rimanere sola con me stessa dopo quasi un anno dall'ultimo viaggio.





Questo è stato un punto di partenza decisamente alternativo a tutto quello che avrei potuto mai immaginare, ma non so per quale motivo in quel momento, ma anche adesso, ripensando a quello che avevo fatto, mi viene da ridere. Incoscienza, forse nemmeno troppo, semplicemente credo voglia di libertà, un pò quella che si prova a 14 anni, quando l'attimo in cui i tuoi genitori partono e ti lasciano la custodia di casa per una settimana tu organizzi la festa dell'anno e anche se sai benissimo quello a cui vai incontro non te ne frega niente lo fai lo stesso. Ecco, credo di essermi sentita proprio come un'adolescente, ero consapevole che una volta in bici, in quei posti, avrei avuto una grossa responsabilità su me stessa, ma in quel momento, il momento in cui ancora tutto doveva succedere, volevo essere semplicemente libera, persino dalla compagnia aerea.

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"In natura un contorno non esiste, dunque la forma disegnata dall'artista non è un elemento realistico, ma una sorta di spettro"

G. De Chirico

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