venerdì 21 settembre 2018

Scappo di casa e mi perdo in Kashmir - Capitolo III - l'età di mezzo

Il silenzio usato come sostantivo, a differenza di quello che possiamo immaginare, è una parola che deriva dal latino Silentium silere, ovvero tacere, non far rumore, in senso figurato l'astensione dalla parola o dal dialogo.
Uno di quegli studi, inutili ma divertenti, anche se un pò sessisti, condotti da qualche università inglese o americana sostiene che in media pronunciamo 2.250 parole al giorno e se pensate al valore di questo numero e lo paragonate a quello che potevate immaginare è molto più grande di quello che uno si aspetta.

Quando viaggio non guardo spesso le foto dei giorni precedenti, ma a volte capita, quindi guardo le foto e penso: è davvero scontato il fatto che io mi trovi qua? Davvero, quanto scontato può essere? Migliaia di persone hanno sicuramente fatto quello che ho fatto nei miei viaggi e che farò in futuro, ma i miei genitori no. No, è vero, erano altri tempi, erano alte storie, ma io non appartengo al loro tempo, i figli dei miei amici probabilmente andranno in altre direzioni ancora, è il tempo che passa, le generazioni che cambiano, ma io sento di appartenere appieno a questa di generazione; lo spaesamento, il non avere radici, il costante equilibrio sul bordo di un baratro, il presente è oggi, domani chissà.

Constatato che il mio mp3 era oramai totalmente andato, non dopo pochi tentativi di rianimarlo, mi ero rassegnata all'idea che non solo avrei avuto a che fare con il silentium, che comunque è una costante dei miei viaggi in solitaria, ma allo stesso modo non avrei avuto possibilità di ascoltare altri rumori (nell'accezione di noises) che quelli della roccia che si sgretola, dell'acqua che scorre, del vento che leviga la faccia, delle ruote che schiacciano frammenti polverosi dell'unica strada possibile che avevo davanti per arrivare in quel posto che non so perchè mi ero fissata doveva essere uno dei punti da visitare assolutamente, non per la qualità della vista o per qualcosa in particolare, ma solamente perchè era vietato andare li e io dovevo assolutamente mettere piede in Cina.

Quando il mio cervello associa la parola strada e deserto in una frase che contempla il verbo attraversare succede che i miei occhi si illuminano come se quello fosse il mio unico scopo nella vita.

Succede che purtroppo in alcuni casi, quando vai in posti del genere, la burocrazia di mescola all'avventura rendendo il tutto un pò meno divertente di quello che ti aspettavi.
Per accedere a questa famosa zona proibita mi veniva richiesto l'Inner permitt, ovvero un foglietto di carta con un timbro della questura del Kashmir che accerti il fatto che tu stia andando in quei posti solamente a scopo turistico e che tu faccia parte di un gruppo di due o più persone; l'unico modo per ottenerlo è presentarsi di persona agli uffici, o tramite qualche agenzia, che si trovano però solamente nel capoluogo della regione, ovvero a Leh.
Un ulteriore problema è che viaggiando in bicicletta per me una deviazione di 200km equivale a due giorni di viaggio (+ 5.000m di dislivello) buttati al vento per avere uno stupido foglio timbrato, e quando due giorni si sottraggono a 20 te ne rimangono davvero pochi.

Con l'unica valvola di sfogo a disposizione (il mio mp3) oramai definitivamente defunto la cosa che più mi preoccupava era quella che i pensieri potessero diventare davvero pericolosi (io l'ho sempre pensato che il silenzio è l'arma più pericolosa del mondo). L'ultima cosa di cui ho bisogno in una situazione al limite del possibile è pensare a fatti negativi, alla fine avevo deciso appunto di partire anche per lasciarmi alle spalle un passato bello pesante da estirpare alla radice, non avrebbe avuto senso rimurginare (ancora!!!) sugli errori degli ultimi anni.
Forse per questo ho cominciato a tenere impegnata la mente con il mio nuovo passatempo: pensare a come eludere la frontiera.

Dopo quasi una settimana di vagabondaggio in mezzo alle montagne avevo più o meno intuito dove potessero nascondersi i posti di blocco.
Ogni posto di blocco è formato da una guardiola, all'interno un soldato con annesso fucile, una corda con delle bandierine fa da transenna, questi posti di blocco si trovano solitamente all'ingresso di vallate, in modo che tu non abbia possibilità altra che passare di la perchè ai lati della guardiola non c'è possibilità di passaggio, solamente strade a tornanti ... per chi ha un mezzo gommato ... per chi ha una bici e non ha paura di trascinarsela arrampicandosi tra i tornanti è tutta un'altra storia.
Mi rendo conto che passo da momenti di totale euforia a momenti di pessimismo esistenziale, solo che in alcuni casi il fatto di essere troppo positiva non mi fa rendere bene conto di cosa sto per fare, per cui mi ritrovo a volte a pensare che nell'immediato futuro mal che vada dovrò trascinare una bici arrampicandomi sui tornanti, mentre il tutto è leggermente più ostico

Attraversato il deserto tibetano che da Meroo va verso Nyoma il primo posto di blocco che incroci sta nella strategica posizione a ridosso di un fiume. Nella vita di tutti i giorni eviterei volentieri di immergermi in un fiume ghiacciato, ma quella non era la vita di tutti i giorni, oramai avevo preso consapevolezza del fatto che il momento era quello e mi sarei tolta la fissazione dalla mente una volta chiuso il cerchio delle cose da fare una sola volta nella vita, o almeno nell'arco di una giornata.

A Meroo decido di prendermi una bella pausa di riflessione giusto per accertarmi che quello che volevo fare era in realtà la cosa che più desideravo in quel momento.
Non credo nei segni del destino, nelle cose che piovono dal cielo, nelle frasi tra le righe, più di una persona mi ha detto che per me le cose o sono bianche o sono nere e se te lo dice più di una persona devi ammettere che una verità ci deve essere, ma ripeto, forse ci sono situazioni in cui bisogna credere a tutto, anche a quello che di norma non accetti.
Ordinato il mio solito thè con momo, "l'uomo della tenda" prende posto a sedere di fianco a me mentre io fissavo in modo alienato il bivio: da una parte una diretta per Leh, dall'altra parte il deserto tibetano verso una frontiera che forse non sarei mai riuscita ad attraversare, dentro di me un silenzioso scontro tra titani.
- It's really a good day - noto che al contrario di me ha voglia di parlare - No clouds, no wind, nothing - continua mentre io con la coda dell'occhio lo osservo - Where are you going?
- I really don't know, i'm waiting for something, but i don't know what exactly
- It's a common low, you think it could be simply in your way, but it takes other directons - il tipo dagli occhi di catrame riesce finalmente ad attirare la mia attenzione, mi chiede una sigaretta e comincio a girargliela
- Probably, but we can't do nothing to change the rules 
- You can always do something that maybe yesterday it was not in your mind
comincio a pensare che forse faccio male, ma sto leggendo tra le righe la risposta alla mia domanda
- I can't remeber about yesterday - rispondo ridendo
- Really good, we need to go in opposition with our rules to be stronger, for example, you are totally alone now, far from home, what it was yesterday in this moment it makes no sense anymore, you can do everything, nobody can judge you
E' alto, la pelle scura bruciata dal vento, occhi a mandorla piccoli e sottili, neri come la pece, i capelli lisci legati sopra la nuca, può avere cinquanta anni, ne può avere anche sessanta, è difficile distinguere l'età di chi è cresciuto sotto il sole, vive e veste le stesse cose probabilmente da anni, che cosa ci fa esattamente li?
- How many people have crossed this road? - guardo in direzione di Nyoma, e non so per quale motivo gli chiedo questa cosa, la chiedo e basta
- Not so much, military only, and sometimes someone like you, looking for adventure

in quel momento avevo preso la mia decisione, che io creda o meno ai segni del destino poco importa, perchè credo molto negli incontri.
Prima di andar via mi chiede come mi chiamo
- Alessandra! - glielo grido da lontano. Non so se si ricorderà di me nei prossimi anni, io di lui mi ricorderò per tanto tempo


La Meroo - Nyoma è una strada totalmente deserta, non c'è niente da vedere, è stata ideata come scorciatoia per i militari che da Manali vanno verso la Cina, nessuno ha motivo per passare di la, nessuno tranne una ragazza in bici intenzionata ad attraversare una strada solo per il gusto di farlo, perchè in quel momento era giusto così e doveva essere fatto.


Come ogni anno potrei spendere 5.000 e più parole per elogiare la bellezza dei luoghi desertici, ma come ogni anno non ne sono in grado, quindi non lo faccio, vi invito piuttosto a leggere i post che dal 2015 scrivo sui deserti che bazzico.






Quello che conta è che a quella dogana ci sono arrivata veramente e veramente ho pensato di poter essere in grado di scavalcarla, così ci ho provato.

Il confine è totalmente militarizzato, ma se il compito era trovare la falla del sistema in qualche modo ci sono riuscita.





La notte appartiene agli amanti, alla lussuria, a noi - a detta di Patti Smith, io aggiungerei che appartiene anche ai ladri di sogni. La notte permette di fare quello che a volte di giorno ci intimidisce, la notte permette di sminuire le inibizioni, la notte è per chi pensa che un gesto debba restare nascosto, la notte è fatta per scavalcare le frontiere.
Immergersi in un fiume ghiacciato, scavalcare la frontiera di Nyoma, totalmente al buio, sapendo che comunque non avrei potuto fare il giro che il mio tracciato preliminare prevedeva solo per il gusto di mettere piede nella zona proibita è davvero da incoscienti e mi vergogno pure a scriverlo, però in quel momento volevo che il mio pensiero superficiale avesse la meglio e così è andata.
In fondo per questo viaggio mi ero data solamente una regola: fare tutto quello che vuoi fare, nella totale libertà, sentendoti responsabile di te e nessun altro.

Dopo aver giocato a scavalca le frontiere, decido che è il momento di dirigermi verso Leh.

Tornando quindi indietro, questa volta per la strada principale, mi rendo conto che non ho più bisogno della musica per non diventare pazza, mi basta pensare che ho fatto abbastanza cose per permettermi il lusso di rilassarmi un attimo, anche se davanti a me c'è uno dei passi camionabili più alti del mondo, ma tanto nemmeno lo sapevo, come sempre ho pensato che la strada era una e che quindi era inutile star li ad interrogarmi su quanti metri bisognava salire su.


Il giorno seguente, oramai lontana da tutto quello che era stato qualche ora prima (viaggiare così è bello proprio perchè le cose hanno due metri e due misure: una è quella dei km e una è quella delle ore. A volte le cose vengono calcolate in ore a volte in km, provare per credere), mentre in tutta tranquillità salivo i 27 tornanti (si li ho contati) che sulla Keylong-Leh portavano a uno dei passi principali (Nakeela), mi affaccio a guardare dall'alto la vallata con la strada a curve che avevo appena fatto.
Tra la sensazione di vertigine dovuta forse alla stanchezza, forse all'altitudine, mi accorgo di un piccolo puntino nero che su due ruote sta percorrendo quei tornanti. Incuriosita, ma anche molto felice di aver trovato un mio simile, decido di aspettarlo, perchè no, in fondo non c'erano dei programmi precisi per i km a seguire.
Mylon è un ragazzo di 25 anni del Bangladesh che assieme ai suoi due compagni di avventura (ci ho messo un paio di ore a capire che erano in 3 e un altro paio a distinguerli, visto che erano vestiti uguali e avevano le stesse bici) stava per chiudere un viaggio di 65 giorni da casa a Leh. La gioia nel suo sguardo a riconoscere di avere pochi km davanti per chiudere un sogno progettato per un intero anno era qualcosa di spettacolare, forse anche più bello del paesaggio circostante. Siamo fatti di sensazioni, oltre che di carne, ed essere circondati da persone che esprimono emozioni vere non capita tutti i giorni.
Ci stringiamo le mani, una stretta di mani tra pari è sempre una bella cosa, in quel momento mi sento ambasciatrice del mio paese, ma allo stesso tempo non mi sento di appartenere a nessuna nazionalità, siamo semplicemente due persone che stanno facendo la stessa cosa e che per cultura non hanno nulla in comune, ma in qualche modo siamo uguali.


E' un ragazzo che un pò invidio, mi racconta del viaggio che hanno appena fatto, e io continuo a pensare che il mio tempo è sempre poco, vorrei tornare indietro a quando studiavo e non avere tutta questa fretta di crescere. Lo ascolto con attenzione e mi rendo conto che non parlo con qualcuno da molto tempo, sono felice di stare con lui e i due suoi amici, ma allo stesso tempo sento il bisogno di isolarmi ancora, quel silenzio era diventato una droga, oramai sentivo di essere una tossica.
Ci fermiamo a mangiare assieme in una di quelle tende che tanto ho amato, è una fortuna quando incontri gente che parla la lingua del posto, perchè finalmente riesco ad ordinare qualcosa di diverso dai momo, continuiamo per qualche ora, poi si rendono conto di essere provati dalla salita e dall'esserci sfondati metà delle provviste di quella bettola e mi propongono di piantare la tenda lì.
Non so perchè ho deciso di continuare senza di loro.
E' stato bello parlare per tutto quel tempo, ma avevo bisogno di stare ancora da sola con me stessa. Invento una scusa a caso, devo proseguire perchè ho poco tempo e non sono stanca e so di una vallata dopo il passo che è spettacolare e voglio vedere l'alba da lì etc etc ... mi guardano come se fossi completamente pazza, e forse un pò devo dargli ragione, ma dovevo andare.
- Maybe see you tomorrow, or maybe never again - quante volte ho detto questa frase, non c'è stata una volta che poi davvero ci siamo visti il giorno dopo, eppure mi ricordo di tutte quelle facce a cui l'ho detto, mi ricordo di tutti i loro sorrisi, mi ricordo come se fosse ieri i paesaggi, la temperatura, se avevo o meno i guanti, quando invece stento a ricordare cosa ho fatto il giorno prima quando mi trovo a casa.

A quel passo (Tangangla) ci arrivo con una piena consapevolezza di chi ero io in quel momento, avevo capito che il mio viaggio come ricerca si poteva dichiarare concluso nell'istante in cui ho piantato la tenda, ho guardato a 360° le montagne intorno e ho pensato: adesso sei esattamente nel posto in cui volevi essere.


Certe sensazioni non si possono descrivere, sono attimi di felicità; chi ha la fortuna di provarli riesce a ricordare la stessa sensazione che aveva da piccolissimo: quella volta che sei riuscita a scappare dalla morsa di mamma per infilare le mani nella fontana ghiacciata e hai provato la sensazione di bruciore ma anche di conquista, la prima volta che sei riuscita ad arrampicarti in cima ad un albero e guardando giù facevi una smorfia ai bambini increduli, quella volta che ti sei svegliata e hai trovato un cane in cucina e ti hanno detto che era tuo, la prima volta che hai sentito il cuore battere per qualcuno, la prima volta che hai detto a qualcuno quello che davvero provavi sentendoti totalmente libero. Sono tutte delle cose che con l'età diventano più rare, perchè siamo noi a diventare più complessi; ecco, viaggiare è quel mezzo che ti permette di tornare bambino, anche solo per un istante, ma quell'istante diventa un ricordo indelebile e noi in fondo non siamo altro che ricordi.

7 commenti:

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Italian Coast to Coast from Roma to Pescara

"In natura un contorno non esiste, dunque la forma disegnata dall'artista non è un elemento realistico, ma una sorta di spettro"

G. De Chirico

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