martedì 11 settembre 2018

Scappo di casa e mi perdo in Kashmir - Capitolo II - come direbbero i New order "Age of Consent"

Se ci interrogassimo su cosa desideriamo realmente scopriremmo che siamo tutti costantemente alla ricerca della parola felicità.
Il dizionario è ricco di riferimenti a dove si potrebbe trovare questa felicità; alcuni nella salute, altri nella serenità, altri ancora nelle opportunità; ma io credo che per natura questa parola non possa racchiudere un lasso di tempo troppo lungo, è più un sentimento puntuale, che una volta palesato viene immediatamente soffocato da altro, è quindi una ricerca costante, o almeno lo è per me.




Mi trovo così a partire da Kullu, alle 10 del mattino, dopo pochissime ore di sonno accumulate a caso un pò in macchina, un pò su di un pulcioso materasso buttato a terra in una struttura non classificabile in niente di quello che conosco, poche cose dietro; in un certo senso pochissime, dovrei cavarmela da sola su quei passi che bloccano la vista dell'orizzonte da subito, mentre guardo le punte innevate penso che sono davvero alte, penso anche con un pò di menefreghismo, che in questo viaggio non è mancato, di aver sottovalutato la situazione; in un altro senso le cose che mi porto dietro sono sempre troppe e mi impongo di rilassarmi.
Sono le 10, mi trovo in India, ho una bici, poche cose dietro, una voglia incredibile di perdermi tra quelle montagne e la possibilità di avere del tempo per stare da sola, in quel momento non c'è niente che tenga, in quel momento io sono la felicità fatta in persona.

Prima di partire mi avevano detto che avrei avuto bisogno di una scheda telefonica dello Jammur & Kashmir, perchè la normale sim indiana avrebbe a un certo punto smesso di funzionare; per motivi di sicurezza, essendo un paese in guerra da qualche anno, hanno la rete telefonica bloccata all'interno del poligono; quello che non mi avevano detto o che nel mio menefreghismo avevo evitato di sentire, era che non è possibile avere questa sim a meno che tu non sia un residente.
Benissimo.
L'ultimo messaggio che ricevo sul mio whatsapp è di una tipa conosciuta qualche giorno prima di partire, mi chiede come procede la mia vacanza a Saint-Tropez; mi viene da ridere, come mi è saltato in mente di dire che andavo in una Spa a Saint-Tropez non lo so, mi ha sempre fatto ridere il nome allora l'ho sparata così, avrei pure voluto rispondere "benissimo, sono in piscina da due giorni e si mangia un ottimo pesce", ma quando mi accorgo del messaggio è già troppo tardi, il mio cellulare ha smesso di ricevere e non lo avrebbe più fatto fino alla fine del viaggio, ma questo ancora non potevo saperlo.

L'entusiasmo del primo giorno è sempre qualcosa di veramente speciale, perchè a me dura soltanto un giorno, tutto il resto del viaggio di solito penso che sarebbe davvero più semplice nella vita andare a Sanit-Tropez in una Spa, ma poi quando ogni tanto mi giro e guardo la strada che ho appena fatto quell'entusiasmo risale, quando la sera mi ritrovo in tenda avvolta dal silenzio dei luoghi spogli quell'entusiasmo risale ancora e ancora, si può chiamare bipolarità?
In generale noto che l'entusiasmo si manifesta nel momento in cui ricordo che davanti a me c'è qualcosa che non ho mai visto e cala nel momento in cui le cose cominciano a diventare una routine, anche nel viaggio stesso.
E' con immenso piacere che posso affermare che quest'anno non c'è stato un solo giorno uguale a quello precedente e quella euforia che mi aspettavo di perdere già dal secondo giorno in realtà si è trasformata in adrenalina pura, forse anche un pochino esagerata.

Mi trovo così che saranno state le 18, il mio primo passo appena valicato, il Rhotang Pass 3.978m. 
Dopo essermi complimentata con me stessa, visto che guardando a destra e sinistra non notavo nessuno che potesse stringermi la mano, comincio ad avere il sentore che non proprio tutto va come sarebbe stato meglio che andasse.
Sfortunatamente per me arrivare a quell'ora su quel passo significava avere una sola ora di luce naturale a disposizione, niente cibo dietro, perchè il villaggio immediatamente successivo distava più o meno una trentina di chilometri, e la netta sensazione che una tempesta stesse per abbattersi proprio sopra la mia testa.

Non c'è problema, ricordo di aver pensato ingenuamente che tanto fino al prossimo villaggio a parte pochi km, il passo era andato, quindi era tutta discesa, allora col sorriso in faccia, la mente proiettata su un piattone di noodle e un thè caldo, mi rimetto in sella, seguo il tornate e mi blocco immediatamente. Quello che vedo non può essere vero: la strada non c'è. Al posto della strada la roccia nuda e appuntita, scavata a mo di sentiero tra le creste della montagna, praticamente come fosse un percorso di trekking al Gran Sasso. Non mi scoraggio affatto, non posso fare down hill con la bici carica, il rischio è di spaccare copertoni, forcella e portapacchi, penso che ci deve essere un errore, che sarà solo quel pezzo, che girato l'angolo solo fiori prati e tanto cibo, quindi proseguo a piedi con la bici in mano, canticchio pure quello che il mio mp3 passa in cuffia. Evito di alzare gli occhi la cielo, perchè so già che tra pochi minuti verrà giù tutto il mondo , però penso sempre che occhio non vede e cuore non duole. Solo quando i primi goccioloni mi lavano le mani e comincio a tremare dal freddo mi decido a cercare un punto dove poter buttare la tenda, solo che purtroppo è impossibile perchè si tratta di una strada larga 3/4 m, scavata appunto nella roccia, in pendio, ovviamente totalmente priva di luce artificiale e comunque camionabile, non posso piazzarmi lì in mezzo, durante la notte potrebbe passare un mezzo di trasporto o qualcos'altro e avendo avuto a che fare con le abitudini indiane, seppur da 48 ore, sapevo già che mi avrebbero ficcata sotto senza nemmeno accorgersene. 
Il tempo di un'occhiata veloce ed è già troppo tardi per tutto, la bufera è scesa giù, un rumore frastornante, un vento ghiacciato, una secchiata di acqua dopo l'altra e io non vedo più niente e comincio a maledire la mia stramaledetta incoerenza di vita.
Di norma fosse successa una cosa del genere in città avrei di certo cercato riparo sotto un cornicione in attesa che tutto finisse, ma in quel punto mi sembrava improbabile trovare un riparo, per cui comincio a scavare tra la roccia, spostando i massi più leggeri e lasciando quelli impossibili da rimuovere sopra, a mo di copertura, ricavando così una piccola nicchia al lato della strada.
Ovviamente non chiudo occhio tutta la notte, la bufera dura qualche ora, giusto il tempo di inzuppare tutto quello che avevo dietro, e io avvolta nei sacchi dell'immondizia che oramai mi porto dietro perchè non ho attrezzatura impermeabile, fisso la roccia sopra la mia testa e penso "sei una cretina, se questa cosa ti cade in faccia sono almeno 80kg tutti appuntiti, tra una settimana ti trovano qua e manco il riconoscimento possono fare".


L'indomani non aspetto nemmeno che sorga il sole, mi avvio che ancora non si vede nulla, tanto non avevo dormito e a questo punto pensavo pure che non lo avrei fatto fino alla fine del viaggio, volevo solo del cibo, avevo un buco allo stomaco e quando si ha fame, con quel freddo, dopo quello che avevo appena fatto, anche a quell'altitudine nemmeno ancora troppo importante ma pur sempre intorno a 4.000, non vedevo più ragioni, pensavo solo che a quel villaggio avrei saccheggiato le dispense. 
E a quel villaggio ci arrivo talmente felice di vedere delle tende e del fumo che anche se erano le 9 del mattino mi sono mangiata il pranzo di natale e il cenone di capodanno, commettendo il secondo errore di valutazione: se poi devi rifarti 1.500m di dislivello in salita per andare sopra i 4.000 non è il caso di riempirti come un maiale perchè è inevitabile che vomiti anche l'anima.




Vi assicuro che queste due esperienze nel giro di poche ore mi hanno insegnato molte più cose che tutto il mio ultimo anno di vita. Sono errori che si commettono una sola volta, anche perchè la seconda forse sarebbe stato troppo una sfida al caso, per cui era bene evitare.

Se volete un consiglio da amica ad ogni modo è quello di non chiedere mai ad un indiano in che condizioni troverete la strada a seguire. Non so per quale motivo non hanno cognizione di quello che può voler dire asfalto, oppure buon manto stradale, ho cercato di farmi un'idea del tutto e mi sono venute in mente tre papabili soluzioni:
1- non attraversano quella strada da molti lunghi anni, per cui i loro ricordi sono probabilmente sbiaditi
2- non hanno mai visto una strada asfaltata, per cui per loro quello è il top del top, e non voglio nemmeno immaginare come fosse messa prima
3- hanno una filosofia di vita distante da quella che conosco: vai zia tranquilla, una strada si trova, nel male e nel bene da qualche parte arrivi

Ho smesso di chiedere indicazioni al terzo giorno, mi ero stufata di illudermi, oramai avevo capito che più di 70km al giorno non avrei potuto fare, un pò per il discorso del dislivello costante, un pò per l'altitudine per cui avevo fatica a tratti durante la respirazione, un pò perchè al posto della strada ogni tanto passava un fiume da guadare ed a tal proposito non è mancata occasione di fare l'esperienza che più ha messo a rischio la mia vita in tutti i viaggi.










Storia già vissuta il giorno precedente: sta per fare buio, mi trovo su di un passo, ma ho ancora un paio di ore di luce, per cui sono la persona più tranquilla del mondo.
Comincio a scendere i tornanti, dovrei passare da quota 5.000 a poco meno di 4.200, sono 800m di dislivello da farsi spalmati in 20km, secondo i miei conti la strada non dovrebbe essere troppo ripida, il sole splende in alto ed è ancora caldo, anzi, caldissimo, nelle cuffie Wanderlust di Bjork che non evito di cantare a squarciagola mentre in discesa cerco di evitare le rocce più appuntite, ho il terrore di aprire in due i copertoni.
Incrocio le mie amate tende del villaggio, penso già a cosa posso mangiare, e con ancora le mie splendide cuffie verdi in testa, mi piace tenerle, perchè la gente mi guarda sempre perplessa, mentre faccio ciondolare la testa a ritmo di musica, mi affaccio a vedere se trovo qualcuno nella tenda. 
Vedo un omone di poche parole, anzi proprio nessuna, gli chiedo un thè e un piatto di momo, mentre io mi metto a sedere su di un masso in mezzo alla polvere e mi giro una sigaretta.

Che bella sensazione quando hai imparato dai giorni precedenti come gestire le situazioni e puoi permetterti una sana mezz'oretta di relax completo, senza troppo preoccuparti di dove buttare la tenda perchè tanto dovrebbe essere tutto asciutto e questa volta i tuoi calcoli sono giusti, ti trovi all'interno di una piccola vallata che proseguirà per ancora qualche km prima di ergersi nuovamente a passo, per cui ti gusti quella sigaretta che tanto bramavi da ore mentre in salita stavi quasi per sputare sangue e alla fine ti giri a ricontrollare la strada che dovrai percorrere e boom capisci di trovarti di nuovo al limite del normale: la strada che fino a 3, e dico davvero 3 minuti prima (il tempo di entrare in tenda chiedere il the e i momo e girare una sigaretta) era li, cioè una strada è fissa, non può spostarsi (!), adesso non esiste più, quella strada è un fiume.

Sono passati solo tre giorni dall'inizio del viaggio, quello in bici, ma io sento addosso il peso di tre mesi di viaggio, le esperienze si accumulano velocemente, una sopra l'altra e il loro peso è assurdo, per cui affronto anche questa cosa con totale menefreghismo e disinteresse per quello che sarebbe potuto accadere, come se tutto questo fosse la normalità, e in qualche modo alla fine lo è.
Guardo quello che era il principio del fiume, vedo che c'è un motociclista indiano fermo sul ciglio con le braccia alzate sui fianchi come a dire "che palle", poi vedo che si forma un gruppo di indiani proprio attorno a lui e cominciano a discutere, credo sulla possibilità di guadare o meno il corso d'acqua. Intanto l'omone del thè si è affacciato e mi ha lasciato la tazza per terra, in mezzo allo schifo, si mette ad osservare la scena. Non perdo occasione per chiedergli che fine abbia fatto la strada, mentre soffio sul thè caldo, come se fossi seduta in salotto, a casa, e lui come tutta risposta mi guarda come se quella fosse una cosa normale, anzi, non lo turba per niente
- Where is the way? - sento che pongo quella domanda in tono calmo e pacato, sicura che la risposta sarà la soluzione al problema
- No more way -  replica con la stessa calma il tipo, alza pure le spalle

Oooooooooook, tiro un grosso sospiro, rifletto in meno di un secondo, quello che viene fuori dalla riflessione è più o meno questo, tutto attaccato di fola nel mio cervello, in un nano secondo "il sole sta sciogliendo il ghiaccio, questo fiume assume portata maggiore di minuto in minuto, adesso la cosa si potrebbe risolvere nel giro di qualche ora o forse di una settimana, tu tra due settimane hai un volo che parte da Leh ed hai ancora più o meno 700km e tipo 4/5 passi davanti da affrontare, non conosci le condizioni stradali, che probabilmente saranno pessime anche più avanti, bhe Ale prendi questa bici e corri prima che il fiume diventi profondo!!!"

Lascio la tazza nello stesso punto in cui il tipo l'aveva poggiata, prendo 20 rupie e gliele metto in mano, poi raccolgo la bici dalla polvere e senza dire una parola mi affretto verso il fiume. La cosa è più difficile di quanto potessi immaginare vedendola da lontano.
Il primo piede sposta uno strato di fango, si scivola, il secondo piede comincia ad affondare. Ci saranno più o meno una ventina di metri tra una sponda e l'altra, il problema in quel momento non era più quanto potesse allargarsi l'argine in pochi minuti, ma quanto profondo e melmoso potesse diventare quello che già scorreva al centro. Cerco inizialmente di bagnarmi il meno possibile, le scarpe completamente sott'acqua, sento che più mi avventuro più il livello sale. Mi fermo un attimo per riflettere, devo individuare quali i punti più bassi, una secca, qualcosa che possa indirizzarmi sul percorso meno pericoloso, e mentre mi fermo a pensare questo sento che la potenza del fiume, ogni attimo che passa sempre maggiore, cerca di strappar via prima a bici e poi i miei piedi. L'acqua ghiacciata ha fatto come da anestetico alle caviglie e la potenza del fiume li leviga e io sento che sto perdendo il controllo della situazione, lo sento nel momento in cui abbandono con una mano il manubrio della bici, adesso l'acqua mi arriva al cavallo dei pantaloncini. Sono esattamente al centro di quel fiume, in qualche modo sono fottuta.

Se c'è una cosa della quale ho il terrore è l'acqua e quello che non posso vedere sotto i miei piedi. Non so perchè, alla fine sono siciliana, non riesco a fare un bagno a mare, ne ho il terrore; mio padre mi ha accennato una volta per sbaglio che quando ero piccola mi hanno lanciata in alto mare e la vela alzata ha fatto partire il catamarano, per cui sono rimasta da sola in mezzo al profondo blu fino a quando dei pescatori mi hanno raccolta, ne abbiamo parlato solo una volta, probabilmente deve essere questo il trauma, ma non ho mai approfondito, combatto le mie paure giorno per giorno e a quanto pare funziona.

In quel momento non mi trovavo in acqua, il mio cervello non ha associato quel fiume ghiacciato ad acqua, ma a qualcosa che dovevo assolutamente combattere per non essere trascinata via. Mi decido a dare uno strappo netto quando dall'altra parte del fiume vedo un gruppo di indiani che comincia ad agitare le mani, sento un solo boato e vedo che un pezzo di montagna si è staccata dalla parete e con se porta un'altro immenso fiume di fango e detriti, è un rumore che sicuramente mi porterò dietro per tanto tempo, gli indiani li vedo sfocati, in lontananza, ancora troppo lontani da me. Capisco che il tempo è finito. Isso la bici per portarla in posizione verticale, irrigidisco le gambe anche se non le sento più, l'acqua adesso arrivata all'ombelico ha anestetizzato pure le cosce, ma non me ne frega niente, devo uscire da questa grandissima rogna. Un passo alla volta sento che riemergo, ma non mi tranquillizzo fino a quando l'ultimo piede non è stato tirato fuori da quel fiume marrone.
Un indiano mi aiuta tirandomi il braccio, io lo vorrei ammazzare, perchè nessuno mi ha aiutata mentre stavo per essere trascinata via? Perchè sono rimasti tutti fermi a riva a godersi lo spettacolo?
Sento una pacca sulle spalle, poi un gruppo che mi si stringe attorno e cerca di comunicare, ma non capisco cosa dicono, in quel momento li vorrei prendere a pugni, vorrei strillare per scaricare tutta l'adrenalina, ma immediatamente penso che loro non ne hanno colpa, avevo deciso io di andare dall'altra parte, nessuno mi aveva obbligata.
Ancora con l'animo un pò infuriato mi giro verso l'indiano che mi aveva preso il braccio e gli dico con tono abbastanza infastidito
- How is the road from here to Sarchu?
l'indiano mi guarda e non risponde
- Is it the same road? Better or no? Other rivers? - sento che la seconda domanda prende dei toni più accesi, come se lui potesse essere responsabile delle condizioni della strada
- No no, it's better - mi guarda titubante
- Are you sure?
- Yes, no problem
- Si si certamente! - lui se la ride, ha capito che sono più arrabbiata che spaventata, non posso far altro che sorridergli e inforcare di nuovo la bici



GLI OCCHI SANGUINANTI



Se c'è una cosa che più mi calma è la musica. Io non prendo sonno se non ho le cuffie con la musica accesa, poi mi sveglio nel cuore della notte con le orecchie che bruciano, ma non ne posso fare a meno, soffro di insonnia e l'unico modo che conosco per dormire è isolarmi dentro quel mondo.
Appena qualche metro dopo il fiume mi rendo conto che il mio mp3, quello storico, quello che 10 anni fa mi è stato regalato a natale e che si è fatto 8 anni di viaggi e contiene 5 giga del mio mondo ha una strisciata di fango all'interno, come tutta la mia attrezzatura interamente infangata.

Capisco in quel momento che se cercavo la solitudine allora questa volta l'avevo davvero trovata.

Avrei avuto davanti altri 700km di vuoto, ma non potevo star li a pensarci troppo, il sole stava per calare e io ero completamente zuppa, domani ho pensato, domani poi lo aggiusti, non ti preoccupare.


E quando dico che la felicità si trova nelle piccole cose è proprio vero, perchè quella notte la felicità è stato trovare riparo all'interno di una tenda dove una vecchia mi ha acceso un fuoco per farmi asciugare e mi ha dato un paio di coperte in più quando ha visto che non avrei mai smesso di tremare, poi mi ha cucinato i momo che avrei voluto mangiare prima di guardare il fiume e anche se non parlavamo la stessa lingua ci sorridevamo con gli occhi, in fondo era stata lei a dirmi di entrare, in cambio solo poche rupie infangate

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